Costruire la pace in tempi difficili (“Nostro Tempo” 04 aprile 2023)

L’antifona che apre la celebrazione della santa Messa nella solennità della Risurrezione – pur nell’infierire di giorni macchiati dal sangue di soldati e migranti e di altri dolori – risuona con l’esultanza dello jubilus di sempre: «Il Signore è veramente risorto. Alleluia. A lui gloria e potenza nei secoli eterni. Alleluia, alleluia»! Già sant’Agostino, commentando il salmo 32, ne ha lucidamente espresso il senso: «comprendere e non saper spiegare a parole ciò che si canta col cuore. […] E verso chi è più giusto elevare questo canto di giubilo, se non verso l’ineffabile Dio? Infatti è ineffabile colui che tu non puoi esprimere. E se non lo puoi esprimere, e d’altra parte non puoi tacerlo, che cosa ti rimane se non “giubilare”?».

Quel che non possiamo comprendere è anche la persistenza della zizzania che soffoca il buon grano che il Signore continua a far crescere nello scorrere dei giorni (cfr. Mt 13,24-32). Non lo comprendiamo nelle vicende della nostra personale esistenza e fatichiamo ancor più quando siamo costretti a considerare il mysterium iniquitatis che depriva la storia: guerre, inequità, molteplici forme di violenza dell’uomo sull’uomo… eppur, oggi, celebriamo la fede nel Risorto che porta la nostra intelligenza ad aderire liberamente a ciò che non sappiamo in alcun modo “dimostrare”, né potremmo farlo: «Mors et vita | duéllo conflixére mirándo: | dux vitae mórtuus regnat vivus. […] Scimus Christu | surrexísse a mórtuis vere | tu nobis, victor Rex, | miserére» (Morte e Vita si sono affrontate | in un prodigioso duello. | Il Signore della vita era morto; | ma ora, vivo, trionfa. […] Sì, ne siamo certi: | Cristo è davvero risorto. | Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi). Questa è l’unica “vittoria sul campo” che è doveroso volere, l’unica che è giusto celebrare, la vittoria del Crocifisso sul peccato e sulla morte nella Risurrezione. Solo da questa vittoria viene il dono della pace per tutti e per ciascuno, nonostante la resistenza che ancora vi opponiamo nelle piccole cose, così come nelle grandi vicende della storia.

Giovanni XXIII firma la Pacem in Terris, in Vaticano, il 9 aprile 1963

È la certezza che nella fede condividiamo con papa Francesco, ma anche, per una singolare congiuntura, con san Giovanni XXIII, il quale l’11 aprile del 1963 espresse promulgando la Pacem in terris, nel contesto della Guerra Fredda, quando per la prima volta l’umanità fu colta dal terrore di un conflitto nucleare. In prossimità del suo sessantesimo anniversario, l’enciclica mostra senz’ombra di dubbio – e non senza un certo rammarico dovuto agli eventi che stiamo vivendo – la sua persistente attualità. Il santo Pontefice chiedeva quel che l’attuale vescovo di Roma non si stanca di implorare: la messa «al bando delle armi nucleari», la seria intenzione di pervenire finalmente «al disarmo integrato da controlli efficaci» (n. 60), «il consolidamento della pace» (n. 89). Lo riteneva un obiettivo conseguibile, estremamente ragionevole e desiderabile, nonché della più alta utilità per tutta la famiglia umana (cfr. nn. 61-63). Detto in altri termini, nel tempo della deterrenza nucleare e delle superpotenze, l’antico concetto di “guerra giusta” – elaborato storicamente in ambito teologico, per gestire i conflitti – veniva saggiamente decostruito de facto, non de iure, custodendo quindi la ragionevolezza della legittima difesa a fronte di un esercito aggressore. 

Il messaggio di Pacem in terris,ripreso originalmente da papa Francesco, consiste nel considerare la guerra – a fronte all’enorme sproporzione esistente quindi tre le situazioni “sul campo” che potevano darsi nel medioevo in cui si teorizzò la “guerra giusta” e quelle cui possono arrivare oggi le superpotenze dopo la proliferazione degli armamenti nucleari – una “follia” e il conclamato “fallimento” della politica e della diplomazia. Queste ultime dovrebbero quindi guardare piuttosto a come custodire l’umanità nella pace possibile per gli uomini, quella pace come tranquillitas ordinis, che sant’Agostino (De Civitate Dei XIX,13)considerava forse come il compito principale di chi si trova a ricoprire posizioni di governo politico. Benché i principali players internazionali sembrano oggi non fare nulla per evitare che la “terza guerra mondiale a pezzi” si trasformi in tragica realtà, non tutto è perduto. La celebrazione della Risurrezione ci rinfranca nel cammino e ci sprona ad incrementare l’impegno per la pace, a partire dalla preghiera e dalla testimonianza quotidiana. Scriveva san Giovanni XXIII: «Come vicario — benché tanto umile ed indegno — di colui che il profetico annuncio chiama il Principe della pace, (cf. Is 9,6) abbiamo il dovere di spendere tutte le nostre energie per il rafforzamento di questo bene. Ma la pace rimane solo suono di parole, se non è fondata su quell’ordine che il presente documento ha tracciato con fiduciosa speranza: ordine fondato sulla verità, costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà. È questa un’impresa tanto nobile ed alta che le forze umane, anche se animate da ogni lodevole buona volontà, non possono da sole portare ad effetto. Affinché l’umana società sia uno specchio il più fedele possibile del regno di Dio, è necessario l’aiuto dall’alto» (nn. 89-90).

E quest’aiuto non manca mai… siamo noi che dobbiamo rinunciare ad ogni ostacolo che ci impedisce di accogliere il dono della Pace che il Crocifisso risorto ci ha donato. Presente in ognuno dei suoi “fratelli più piccoli” (cfr. Mt 25,40) che soffre per la violenza delle strutture di peccato che avvelenano questo mondo, il Signore non ci abbandona: «La sera di quello stesso giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”» (Gv 20,19). Non c’è augurio di Pasqua, checché se ne dica, che non sia un in definitiva augurio di pace.

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