Guerra e pace per i cristiani (“Nostro Tempo” 08 maggio 2022)

Occorre riconoscere all’editore Castelvecchi il merito di aver ripubblicato la riflessione I cristiani e la pace di Emmanuel Mounier, nella traduzione di Paola Baiocco uscita nel 2008 per i tipi di Città Aperta. Pubblicato originariamente nel 1939 col titolo Pacifistes ou Bellicistes?, il contributo del filosofo personalista procede dalla preoccupata insoddisfazione per il Patto di Monaco – siglato da Germania, Italia, Francia e Gran Bretagna il 29 settembre 1938 – col quale si concesse ad Adolf Hitler di annettere la regione dei Sudeti che faceva parte della Cecoslovacchia. Mounier proponeva una riflessione ispirata al realismo cristiano e cattolico, sinceramente volto alla realizzazione della pace, eppure critico dell’atteggiamento allora prevalente nei confronti delle mosse della Germania nazista, caratterizzato da un pacifismo vile e ipocrita, fondato più su di un irresponsabile utilitarismo borghese che sull’autentico desiderio di custodire l’umanità dalla distruzione. Attraverso la composizione di un raffinato mosaico di considerazioni teologiche, giuridiche e sociopolitiche, il principale esponente del personalismo francese giunse a queste conclusioni: 1) «la guerra è un flagello, in qualsiasi epoca. La guerra moderna è, insieme, un cataclisma senza proporzioni e una catastrofe spirituale totale»; 2) «per il cristiano la guerra non è l’unica possibile dimissione». Questa accadrebbe anche nel caso in cui si accettasse di «comprare la pace a prezzo di un accrescimento di viltà, di un ulteriore arretramento dello spirito cristiano di fronte a forze anticristiane» ( e qui il riferimento al nazismo è più che evidente) o si scegliesse – «in un mondo in cui certi vogliono la guerra o almeno non la escludono dai loro rimedi» – di «rifiutare ogni azione che potrebbe comportare il rischio significa rifiutare ogni resistenza, poiché il rischio è ovunque, salvo nell’avvilimento o nel suicidio deliberato».

In quel tragico 1939, Mounier concludeva la sua riflessione sui cristiani e il problema della pace con queste parole che non smettono di interrogarci: «lottiamo disperatamente contro la guerra che viene, non accordiamole neanche un briciolo di complicità. Ma non riusciremo a esorcizzarla se on allo stesso modo in cui si scongiura la malattia: presentandole un’anima sana in un corpo sano. Contro il “bellicismo”, questo riducente: l’assoluto della Carità cristiana; contro quella forma di “pacifismo” che serve le imprese della violenza: la vocazione terrena del cristiano, l’umiltà che è il senso della terra, una pazienza con la Storia che è la stessa inesauribile pazienza di Dio». Meno condivisibile, a mio avviso, è invece la prefazione di Stefano Ceccanti, Ordinario di Diritto Pubblico, comparato e internazionale presso l’Università di Roma “La Sapienza” e Deputato del Pd. Unico contributo originale rispetto all’edizione del 2008, tale prefazione esplicita quello che sembra essere il motivo di questa riedizione: sostenere la linea adottata dal Pd guidato da Enrico Letta, mostrando l’attualità del pensiero di Mounier in relazione alla crisi ucraina e all’interpretazione dell’articolo 11 della Costituzione. Una posizione che si distanzia chiaramente dalla linea di condotta autorevolmente rappresentata da papa Francesco, il quale – portando avanti quello che lo stesso Mounier avrebbe forse definito il «pacifismo dei forti» – non smette di sostenere che «la vera risposta» – come si legge, ad esempio, nel Discorso all’incontro promosso dal Centro femminile italiano del 24 marzo – «non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato». Sottolineando invece il numero 500 del Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, sembra che Ceccanti suggerisca piuttosto come l’invio delle armi all’Ucraina debba essere letto alla luce della lezione di Mounier per il quale «la “forza creatrice” dell’impegno nasce dalla “tensione feconda che esso suscita fra l’imperfezione della causa e la sua fedeltà assoluta ai valori che sono in gioco. L’astensione è un’illusione. Lo scetticismo è ancora una filosofia: ma il non intervento tra il 1936 e il 1939 ha prodotto la guerra di Hitler».

Mi chiedo: è corretto il tentativo di leggere la congiuntura in cui si è aperto il conflitto in corso tra la Federazione russa e l’Ucraina alla luce del clima che ha portato al Patto di Monaco del 1938? Pur ammettendo che Putin possa rappresentare un pericolo da scongiurare al pari di Hitler, non mi sembra che Boris Johnson possa essere in alcun modo raffrontato a Neville Chamberlain, per tacere di Joe Biden! Ritengo quindi che l’attualizzazione del pensiero di Mounier proposta da Ceccanti manchi il bersaglio su almeno due punti: non considera adeguatamente gli sviluppi del magistero sociale cattolico vivente (si vedano i numeri 256-262 di Fratelli tutti sull’ingiustizia della guerra), a cui il filosofo francese si atteneva con grande rigore, e perde di vista che il fine ultimo a cui guardava Mounier è l’edificazione della pace.

Consiglierei infine all’onorevole Ceccanti di leggere quel che lo stesso Mounier scriveva su Esprit, nel maggio del 1949, in un breve articolo dal titolo Le Pacte atlantique: «il patto porta in grembo le più sinistre illusioni della pace armata e un meccanismo internazionale di freno sociale. Senza proteggerci realmente contro la guerra, ci impegna in una politica che aggrava l’antagonismo dei due blocchi […]. Forse esso ha un senso nella volontà di preparare e di vincere una guerra. Ma il nostro fine e il nostro interesse, di francesi ed europei, non è di vincere la guerra, ma d’impedirla. Così la nostra opposizione al Patto non può essere che totale» (Œuvres de Mounier, vol. IV, pp. 221-222).

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