L’utopia cambia il nostro sguardo (“Nostro Tempo” 10 ottobre 2021)

A un anno dalla promulgazione dell’enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale Fratelli tutti e in vista della 49ª Settimana Sociale dei cattolici italiani che si terrà a Taranto dal 21 al 24 ottobre, sul tema Il Pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro, vale forse la pena di soffermarsi a riflettere su quella che può essere considerata una coordinata caratteristica del magistero sociale di papa Francesco. Mi riferisco all’utopia, come categoria del pensiero politico.

Se interpreti qualificati ne hanno riconosciuto sostanzialmente il tramonto (si veda, ad esempio, Occidente senza utopie di Massimo Cacciari e Paolo Prodi),  il Papa chiamato «quasi dalla fine del mondo»  – fronteggiando con parresia una delle accuse più ricorrenti al magistero sociale cattolico – non esita a riconoscere il carattere costruttivo dell’utopia per la coesione della polis: «i cittadini vivono in tensione tra la congiuntura del momento e la luce del tempo, dell’orizzonte più grande, dell’utopia che ci apre al futuro come causa finale che attrae» (Evangelii gaudium, n. 222). A fronte del disincanto generalizzato nei confronti di un’alternativa effettivamente percorribile rispetto all’assetto politico-economico dominante, determinato dalla volontà di potenza implicita nell’impianto tecno-scientifico impostosi in Occidente, il Pontefice opera un cambiamento del punto di vista. Mentre gli apologeti dell’assetto vigente tendono spesso a squalificare gli appelli del magistero come fossero mere illusioni “utopiche”, una sorta cioè di predicazione che appunto “non avrebbe luogo” nelle reali dinamiche politiche ed economiche, per papa Francesco è proprio l’utopia a sostenere invece la ricerca di una concreta via d’uscita dalle spire di una globalizzazione ancora troppo cinica.

Le sfumature di senso sedimentate nell’angusto spazio di questo termine sono troppe per non dover chiarire il significato ch’esso ha nella prosa dell’attuale Vescovo di Roma. Lungi dall’inserirsi nell’orizzonte dell’utopismo ideologico sviluppatosi tra il XIX e il XX secolo, papa Francesco sembra piuttosto riferirsi alla coscienza utopica che – attraverso le risorse dell’immaginazione ispirata dal desiderio del bene comune – favorisce, ad un tempo, la critica nei confronti dell’assetto esistente e la ricerca di alternative percorribili, per quanto non ancora realizzabili. Come uscire infatti dalla coazione a ripetere dell’indifferenza e dell’individualismo possessivo, senza l’«apertura» offerta dall’utopia, intesa qui come “non-luogo” ironico e paradossale che è tuttavia capace di attrazione in quanto immagine del bene socialmente desiderabile per il futuro? Costituita dall’esercizio congiunto della ragione, del desiderio e dell’immaginazione, l’utopia veniva rilanciata già dal cardinal Bergoglio all’indomani della crisi economica argentina con l’intento di ritessere i legami sociali, al di là degli aspetti paralizzanti della globalizzazione e della logica dell’individualismo competitivo (cfr. Nel cuore dell’uomo. Utopia e impegno, Milano 2013). Procedendo da una concezione antropologica della maturità personale e sociale in cui «la libertà sia pienamente responsabile e basata sull’amore», il cardinal Bergoglio anticipava in altri termini quello che avrebbe riaffermato nel successivo magistero pontifico: «quando non c’è l’utopia, prevale il contingente e ci limitiamo a un’azione tattica o involutiva. Quando prevale l’involuzione, qualsiasi azione sociale e politica verte solo sul soggetto e annulla l’edificazione del bene comune». Quest’ultima, poi, richiede che la comunità sociopolitica viva la tensione tra il polo utopico e quello realistico inerente alla creatività storica.

Tanto da Buenos Aires quanto (e ancor più chiaramente!) da Roma, papa Francesco ha comunque impartito un insegnamento sociale fondato discretamente, ma autenticamente, su di una espressa concezione teologica. Come avvenne molto probabilmente per la stessa Utopia (1516) di san Tommaso Moro, la coscienza utopica corrisponde qui al riflesso storico e politico della speranza teologale nella Beatitudine compresa attraverso la figura giovannea della «Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio» (Ap 21,10). Una prospettiva che esclude radicalmente qualsiasi confusione con l’appiattimento immanentistico del moderno utopismo ideologico. Mi sembra infatti che quest’aspetto sia stato chiarito definitivamente dallo stesso papa Francesco nel Videomessaggio ai partecipanti alla X edizione del Festival della Dottrina sociale della Chiesa (Verona, 26-29 novembre 2020): «vivere la memoria del futuro significa impegnarsi a far sì che la Chiesa, il grande popolo di Dio (cfr. Lumen gentium, 6) possa costituire in terra l’inizio e il germe del regno di Dio. Vivere da credenti immersi nella società manifestando la vita di Dio che abbiamo ricevuto in dono nel Battesimo, perché si possa fare memoria ora di quella vita futura nella quale saremo insieme dinanzi al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo. Questo atteggiamento ci aiuta a superare la tentazione dell’utopia, di ridurre l’annuncio del Vangelo nel semplice orizzonte sociologico o di farci ingaggiare nel “marketing” delle varie teorie economiche o fazioni politiche».

È la fede in attesa del dono escatologico ad esigere l’apertura offerta dall’utopia e, nello stesso tempo, a sottrarre quest’ultima al ripiegamento – umano, troppo umano – dell’ideologia o della proiezione razionale da realizzarsi esclusivamente attraverso lo sforzo umano, con tutta la violenza ch’esse prima o poi richiedono.

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Pensare con Hans Urs von Balthasar

Mi permetto di segnalare questo breve contributo uscito su LineaTempo. Itinerari di storia, letteratura, filosofia e arte 27 (2021) dal titolo L’esercizio del pensare. Rileggendo “I compiti della filosofia cattolica nel tempo” di H. U. von Balthasar, dedicato a rilanciare «interrogativi e suggestioni, ancora molto attuali, in un saggio del grande teologo svizzero apparso nel 1946-47».