La pace, compito di tutti i credenti (“Nostro Tempo” 12 gennaio 2020)

Era il 1° gennaio 1968 quando san Paolo VI, celebrando la prima Giornata mondiale della pace, inaugurava una nuova e quantomai opportuna consuetudine pontificia. In concomitanza della solennità di Maria santissima Madre di Dio, da quel giorno ogni Vescovo di Roma – rispondendo a quello che lo stesso Papa santo considerava un dovere del Pastore universale – ha inviato ai confratelli nell’episcopato e ai fedeli, ma anche ai capi delle nazioni e a tutti gli uomini di buona volontà un messaggio volto a sostenere e a promuovere le ragioni della pace. Passato forse un po’ troppo inosservato, il messaggio per il 2020 di papa Francesco La pace come cammino di speranza: dialogo, riconciliazione e conversione ecologica si è rivelato invece di grandissima attualità ad appena tre giorni dalla celebrazione della relativa Giornata mondiale. Su ordine del presidente USA Donald Trump il generale iraniano Qasem Soleimani è stato ucciso tramite un attacco con drone presso l’aeroporto internazionale di Bagdad. iran-usaInutile dire che l’uccisione dell’alto ufficiale, probabilmente l’uomo più potente della Repubblica Islamica dell’Iran dopo l’ayatollah Ali Khamenei, ha seriamente destabilizzato la situazione del Medio Oriente, con significative ripercussioni a livello globale. Così come è forse inutile osservare che è ricomparso il fondato timore per lo scoppio di una nuova guerra, guarda caso – direbbero i più cinici – nell’anno delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America. Difesa degli interessi nazionali? Mire imperialistiche? Una combinazione dei due motivi? Non sono certo in grado di determinare gli obiettivi reali della politica estera statunitense e non ho nemmeno mai pensato di farlo, tanto meno in questa sede. Può invece risultare di qualche utilità riprendere il messaggio di papa Francesco, per sottolineare – a fronte della possibilità di un ennesimo conflitto militare – la necessità che i cattolici prendano coscienza del necessario impegno per favorire la pace tra le persone e tra i popoli, testimoniandone la realizzabilità. La settima beatitudine non può in alcun modo essere considerata come il “mandato” affidato ad una parte della Chiesa, eventualmente specializzata nelle manifestazioni pro pace, ma si rivolge indistintamente ad ogni battezzato e, potenzialmente, ad ogni donna e ad ogni uomo: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). È con questa consapevolezza che occorre meditare La pace come cammino di speranza, almeno per rinvigorire le ragioni del proprio cristiano impegno per la pace, all’interno di un contesto epocale segnato tanto dai conflitti di una società sempre più individualistica e competitiva, quanto da quella “terza mondiale a pezzi” già denunciata dal Papa nel 2014. Papa_Francisco_ColombaAncora nel messaggio per l’ultima Giornata mondiale della pace, l’attuale Successore di Pietro riconosce il diffondersi della violenza che continua a lacerare l’umanità: «La nostra comunità umana porta, nella memoria e nella carne, i segni delle guerre e dei conflitti che si sono succeduti, con crescente capacità distruttiva, e che non cessano di colpire specialmente i più poveri e i più deboli. […] Tante vittime innocenti si trovano a portare su di sé lo strazio dell’umiliazione e dell’esclusione, del lutto e dell’ingiustizia, se non addirittura i traumi derivanti dall’accanimento sistematico contro il loro popolo e i loro cari». Procedendo dalla ferma convinzione della fratellanza umana, letta come espressione dell’unità del genere umano di cui la Chiesa stessa è segno e strumento (cfr. Lumen Gentium, n.1) papa Francesco analizza le motivazioni che portano i popoli a confliggere militarmente: l’«insofferenza per la diversità dell’altro», il «desiderio di possesso», la «volontà di dominio», l’egoismo, la superbia e l’odio che porta ad eliminare l’altro di cui ci è fatti un’immutabile immagine negativa. Le guerre poi vengono alimentate dalla «perversione delle relazioni», dalle «ambizioni egemoniche», dagli «abusi di potere», dalla «paura dell’altro» e dalla «differenza vista come ostacolo». Se è possibile continuare ad operare per la pace in un mondo così configurato, se è ancora possibile sostenere la ragionevolezza di un tale impegno, lo si deve certamente alla fede nel Cristo che ha vinto il peccato e la morte e che – attraverso la speranza di una partecipazione definitiva alla sua stessa Vita – anima dall’interno il desiderio concreto di pace nella storia. È in forza del dono pasquale di Cristo, ricorda il Pontefice, che la Chiesa continua ad accompagnare gli uomini di buona volontà nella «ricerca dell’ordine giusto, continuando a servire il bene comune e a nutrire la speranza della pace, attraverso la trasmissione dei valori cristiani, l’insegnamento morale e le opere sociali e di educazione». 14-Simone-Martini-La-rinuncia-alle-armi-di-S.-Martino-AssisiFa parte di questo servizio che la Chiesa, e in essa ogni battezzato, svolge umilmente a servizio di ogni essere umano il fattivo invito alla conversione dello sguardo che ci si rivolge vicendevolmente (affinché s’impari a vedere sempre nell’altro una persona, un fratello), del modo di gestire l’ambito economico-politico («non vi sarà mai vera pace se non saremo capaci di costruire un più giusto sistema economico») e di relazionarci con le risorse naturali, le forme di vita e la terra nel suo insieme. Quest’ultimo aspetto, che il Papa definisce «conversione ecologica», è purtroppo considerato ancora da molti con miope sufficienza, mentre – lo dico proprio in riferimento alla recente crisi USA-Iran – risulta invece del tutto strategico. Credere nella possibilità della pace può essere difficile, ma non è irragionevole o illusorio; la fede ci sostiene nell’impegno per la pace nella storia perché permette di conoscerne la realtà escatologica. Poiché la pace ci attende, possiamo ritenere che sia possibile anche ora. «Non si ottiene la pace» ammonisce papa Francesco «se non la si spera».

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