Ritornare a pensare per custodire la fede (“Nostro Tempo” 9 febbraio 2020)

Era un’algida mattina d’inverno. Districandomi dalla folla che scorre lenta lungo la più celebre delle piazze di Milano, entro con la curiosità di sempre all’interno di una nota libreria perdendomi subito tra reparti e scaffali. Per ovvi motivi il mio sguardo si sofferma sull’angolo dedicato alla religione e, in particolare, alla Chiesa cattolica. Tra i volumetti che raccolgono gli interventi del Papa o quelli dei più noti tra coloro che si sforzano di tradurre la spiritualità cristiana per il grande pubblico, emerge tutta una serie di libri capaci tanto di suscitare l’indignazione o di solleticare la pruderie del cosiddetto grande pubblico, quanto di provocare dolore – non sgomento, né smarrimento – in coloro che la Chiesa la amano per davvero. 1200px-Caravaggio_-_Taking_of_Christ_-_DublinNe ricordo solo alcuni tra i più noti: Chiesa e pedofilia. Non lasciate che i pargoli vadano a loro (2010) di Federico Tulli, Golgota. Viaggio segreto tra Chiesa e pedofilia (2012) di Carmelo Abbate; Vaticano S.P.A. (2017) e Peccato originale (2018) di Gianluigi Nuzzi; Avarizia (2015) e Lussuria (2017) di Emiliano Fittipaldi e, per finire, la “sociologia” del pettegolezzo ecclesiastico contenuta in Sodoma (2019) di Frédéric Martel. Le considerazioni da fare su questa pubblicistica e ancor più sui fatti – veri o presunti tali, raccontati adeguatamente o fraintesi – sarebbero troppe e forse troppo complesse. Qui vorrei accennare solo ad una domanda che la semplice menzione di questi volumi non può non suscitare: se è vero che la Chiesa, e proprio all’interno del clero, conta anche pedofili, speculatori finanziari, corruttori politici, diffamatori seriali, omosessuali assiduamente praticanti a dispetto della pubblica professione celibataria… com’è possibile continuare serenamente a ripetere ogni domenica e in ogni solennità: Credo la Chiesa…santa? I papi del post-concilio, da san Paolo VI a Benedetto XVI, hanno chiesto pubblicamente perdono per le molteplici colpe compiute dai membri della Chiesa cattolica. Ultimamente papa Francesco, concludendo nel 2018 l’Assemblea sinodale dei Vescovi dedicata ai “giovani”, ha ricordato che la Chiesa è santa, è «Madre santa con figli peccatori. […] Ma la Chiesa non va sporcata; i figli sì, siamo sporchi tutti, ma la Madre no». Tommaso d'Aquino_MiniaturaPer continuare a credere nella santità della Madre Chiesa, senza aggrapparsi ad inautentiche apologie autoreferenziali, occorre certamente pregare e convertirsi al Vangelo, ma bisogna anche riprendere quella sana abitudine cattolica che chiamiamo pensare. A dispetto di un recente orientamento che tende a sottostimare quest’attività propriamente umana, è urgente ribadire con fermezza che pensare è essenziale alla fede. Come già fede sant’Agostino, il quale – scolpendo, per così dire, nel marmo una consapevolezza maturata nella comunità cristiana dei primi secoli – non esitava a dichiarare che «la fede, se non è pensata, non esiste» (fides si non cogitetur, nulla est, in De praedestinatione sanctorum II,5). Poiché l’esercizio del pensiero teologico è un compito arduo, per la ricchezza e la profondità delle fonti, ritengo fondamentale rileggere ancor oggi i contributi sulla santità della Chiesa e il peccato dei suoi membri scritti da Hans Urs von Balthasar, da Henri de Lubac, da Karl Rahner o da Yves Congar. 9congarL’ecclesiologo domenicano, in particolare, è stato in grado di onorare l’assoluta santità della Chiesa in quanto – come Corpo di Cristo, Sposa del Verbo e Tempio dello Spirito Santo – è di Dio e da Dio, senza però dimenticare quella ch’egli ha chiamato «una certa dialettica tra ci che è dato da Dio e ciò che è ricevuto e realizzato dagli uomini», a motivo della libera risposta alla grazia o del suo più drammatico rifiuto. In questo senso, pensare la santità della Chiesa insieme al peccato dei suoi membri comporta che si affronti seriamente il tema della riforma: «i peccati, formalmente, sono personali. Per la loro importanza tuttavia, la loro accumulazione, la situazione determinante di chi li commette, finiscono per vere un effetto sulla santità dell’intero corpo e creare nella Chiesa situazioni malsane. […] La vita della Chiesa è così costellata di movimenti di riforma». Anche papa Francesco, non senza ostinate resistenze, sta cercando di accompagnare la comunità dei credenti sulla via della riforma, forte in questo caso dell’insegnamento della Costituzione dogmatica Lumen Gentium del Concilio Vaticano II, il quale riconosce chiaramente che «la Chiesa che comprende nel suo seno i peccatori, santa e insieme sempre bisognosa di purificazione, incessantemente si applica alla penitenza e al suo rinnovamento» (n. 8). Se il compito di sciogliere l’apparente contraddizione che emerge tra un’affermazione di fede e le azioni degli uomini spetta evidentemente ai teologi, la fede “pensata” ci assicura che la risposta più efficace resta di gran lunga quella offerta dalla santità di vita dei cristiani che – per grazia di Dio – onorano nei gesti e nelle parole quella santità che è proprietà essenziale della Chiesa “solo” perché Cristo l’ha amata e ha dato se stesso per essa (cf. n. 39). 152-001-2016-Casa-Luigi-Cervi-Albinea-Italia-CoverLa condizione umana, costitutivamente sociale, richiede tuttavia che alla conversione segua anche una riforma di alcune strutture ecclesiali, che non sono più in grado di servire adeguatamente la missione propria della Chiesa o che finiscono per costituire un ostacolo all’evangelizzazione. Più complessa è la riforma della “mentalità”. Mi riferisco a quel clericalismo denunciato da papa Francesco nella Lettera al Popolo di Dio come «modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa», il quale «favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo». Ripensare radicalmente la formazione del clero, ben al di là del pur utile ricorso alla psicologia, è un compito che ormai non è più possibile rinviare. Se non ora, quando?

Pubblicità