L’unico tomista “vivo” è il tomista “creativo”!

Colui che è stato forse il più influente filosofo domenicano del Novecento, Joseph Bocheński, ha intravisto l’orizzonte di sviluppo di quello stile che intendo qui presentare col titolo di “tomismo creativo” già verso la fine degli anni Trenta,orso-predicatore quando ricopriva il ruolo di giovane docente di Logica presso l’Angelicum. Introducendo gli studenti alla sua ricca ed accurata dispensa, tanto per collocarsi all’interno delle consuete dispute tra i Frati Predicatori sulla maggior o minor fedeltà al pensiero di san Tommaso d’Aquino, il logico polacco scriveva che «non è tomista colui che sa solo ripetere le cose antiche e non lo è colui che si allontana dal Maestro nelle questioni filosofiche; ma lo è piuttosto colui che – fondato fermamente sui principi eterni – porta a sintesi le verità recentemente riconosciute con quelle antiche ed evolve secondo l’esigenza dei tempi»[1]. La ricchezza del pensiero dell’Aquinate conosce infatti un’effettiva fecondità solo se recepito e riconsegnato all’interno di un reale processo di rilettura a partire dalle domande che scaturiscono, stagione dopo stagione, dalla ricerca umana. È in questo senso che si può parlare di “tradizione” tomista: non quando ci si attesta su di un vano psittacismo dottrinario, ma piuttosto allorché la vitalità perenne di un pensatore essenziale come l’Aquinate rivive all’interno delle cornici di senso imbastite dalle sfide contemporanee. Lungi così dal considerarla come un patrimonio esclusivo delle filosofie nate all’ombra del Romanticismo, comprendendo per dovere di onestà intellettuale anche una certa neoscolastica, la stessa scuola tomista deve riconoscere il valore costitutivo della creatività per la propria sussistenza. Accanto alle precise ricerche condotte in vista di un imprescindibile “ritorno alle fonti”, non si può tuttavia trascurare il compito di interrogare il testo del Dottore angelico sulla base delle questioni che scuotono la contemporaneità tanto in teologia, quanto in filosofia. Anche a costo di dover ammettere che san Tommaso non offre soluzioni.

Con l’espressione “tomismo creativo” non s’intende quindi aggiungere un’ulteriore corrente a quelle che si sono succedute nell’ambito della storia della ricezione del pensiero del Doctor communis, ma piuttosto inquadrare uno stile all’interno di quella stessa storia caratterizzata dall’originalità con cui appunto le domande del presente vanno a riattivare strati di senso sedimentati nel testo del grande teologo e filosofo onorandone così l’attualità. Questa infatti si trova spesso oscurata dall’ostinazione con cui si scambia il tomismo con quella forma – spesso razionalizzante e, al suo tempo, forse anch’essa creativa – che fu la Scolastica barocca e la sua ulteriore irreggimentazione nelle forme, più o meno originali e feconde di ulteriori sviluppi, della Neoscolastica. Se la “manualistica” otto-novecentesca, salvo qualche rara eccezione, ha costituito il grado più basso nella storia del ripensamento creativo dell’eredità dell’Aquinate, anche quest’ultimo periodo ha conosciuto interpretazioni effettivamente creative. Considerando qui anche l’opera di un importante precursore come il beato Antonio Rosmini, mi riferisco – al di là degli esiti e delle linee di sviluppo – ai contributi di Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein), di Gustavo Bontadini o di Cornelio Fabro in Italia, dei vari Étienne Gilson, Jacques Maritain, Henri de Lubac, M.-D. Chenu O.P. e Yves J.-M. Congar O.P. in Francia, di Erich Przywara S. J., Karl Rahner S. J. e di Johannes Baptist Lotz S. J. in Germania oppure di Bernard Lonergan S. J., di Herbert McCabe O.P. e dei diversi tomisti analitici nei paesi anglofoni.

Tra i continuatori di quello che considero un modo libero e fecondo, per quanto non meno rigoroso, di leggere i testi dell’Aquinate ritengo almeno di dover menzionare la scuola prevalentemente domenicana di Friburgo-Tolosa, responsabile di un serio aggiornamento tomistico alla luce dei risultati della critica storica e del dialogo con le prospettive teologico-filosofiche contemporanee, la provocante rilettura post-moderna e post-secolare proposta dal movimento teologico Radical Orthodoxy, fondato da John Milbank a Cambridge negli anni Novanta del secolo scorso, e infine – per quanto più modestamente, ma non senza aver offerto frutti significativi – la Scuola di Anagogia, diretta da Giuseppe Barzaghi O.P. all’insegna del caratteristico “con Tommaso, oltre Tommaso”. Alcuni esponenti di queste tre realtà culturali e accademiche sono state convocate, insieme ad altri studiosi dell’Aquinate, nel dicembre del 2013 a Bologna, dal Dipartimento di Teologia Sistematica per l’Ottavo Convegno della Facoltà Teologica dell’Emilia-Romagna dedicato appunto ad esplorare le letture contemporanee del Doctor Communis inquadrabili nell’ampia categoria del “tomismo creativo”[2]. Nel contesto di quell’evento accademico, non ancora recepito adeguatamente dagli studiosi competenti, ha mostrato – sempre quanto allo stile – la vitalità ermeneutica che ancor oggi l’opera dell’Aquinate è in grado di suscitare secondo una modalità che si differenzia, da un lato, dalla pur preziosa acribia della lettura storico-critica capitanata dai membri della Commissione Leonina e, dall’altro, dalla pletora di ripetitori “teo-con” che riducono il pensiero del Maestro d’Aquino ad una sorta di Codice di Diritto Canonico del pensiero teologico e filosofico da accordare di volta in volta solo con i più recenti documenti del Magistero ecclesiale.

Solo in seguito ai pregiudizi inevitabilmente generatisi all’indomani dell’impiego – per certi aspetti inevitabile – dell’impianto aristotelico-tomista nel contesto della polemica antimodernista, guidata da alcuni ormai dimenticati esponenti della Compagnia di Gesù, si è potuto guardare al pensiero di san Tommaso d’Aquino come un costrutto formale che – a dispetto della sua a-sistematica vitalità – non può che contrapporsi a tutto ciò che si può intendere concependo l’aggettivo “creativo”. Non mi dilungherò certo in questa sede sull’originalità della sintesi tomista, capace – per limitarci, a mo’ di esempio, al solo trattato De homine della Summa Theologiae – di rispondere ad alcune ambiguità “platoniche” presenti nella tradizione patristica, in particolare di ascendenza agostiniana, elaborando una concezione altamente creativa facendo uso di una strumentazione aristotelica sapientemente riadattata sullo sfondo di una visione del mondo ispirata chiaramente a Dionigi Pseudo-Areopagita. È lo spirito contemplativo a rendere il pensiero dell’Aquinate particolarmente creativo. Per rendersene conto basta leggere la pagina che segue, tenendo conto – a titolo di “termine medio” nel ragionamento – degli studi dello psicanalista Donald W. Winnicott che hanno mostrato la correlazione tra gioco e interpretazione creativa della realtà[3]. Nel Commento al libro di Boezio “De Ebdomadibus”, Tommaso scrive: «la contemplazione della sapienza si può paragonare in modo conveniente al gioco a motivo di due aspetti che è possibile ritrovare nel gioco stesso. In primo luogo, perché il gioco è piacevole, e la contemplazione assicura il piacere più grande, per cui Sir 24,19 si dice, per bocca della stessa Sapienza: “Il mio Signore è più dolce del miele”. In secondo luogo, perché le operazioni del gioco non sono ordinate ad altro. Ma sono richieste di per sé, e lo stesso accade nei piaceri della sapienza. […] E perciò la divina Sapienza in Pr 8,30 compara il suo piacere al gioco: “Io mi rallegravo giorno per giorno giocando davanti a Lui”, dove per i diversi giorni bisogna intendere la considerazione delle diverse verità. È per questo anche qui si aggiunge: “e lì sviluppa le tue concezioni”, e cioè quelle concezioni attraverso le quali l’uomo può pervenire alla conoscenza della verità»[4]. La similitudine tra il gioco e la contemplazione apre quest’ultima alla correlazione tra il gioco e la creatività. Se si è colto con Tommaso il primo legame, si può quindi anche ammettere l’esistenza di quello che si dà tra la contemplazione – nel senso di una passività particolarmente attiva – e la creatività che, al di là dei pregiudizi romantici, emerge dalla relazione con l’inesauribilità stessa del reale. Praticare lo stile del tomismo creativo significa esercitare il pensiero, non sotto la schiavitù delle interpretazioni consuete ed infeconde, ma nella libertà della contemplazione tanto di Dio quanto del mondo e della storia dal punto di vista di Dio.

[1] Cfr. I. M. Bocheński O.P., Logica. Cursus elementaris ad usum privatum, Inst. Pont. Intern. “Angelicum”, Romae 1938-1939, p. 8.

[2] Cfr. M. Salvioli O.P. (ed.), Tomismo creativo. Letture contemporanee del Doctor communis, (Quaderni di Sacra Doctrina, 1), Edizioni Studio Domenicano, Bologna 2015.

[3] Cfr. D. W. Winnicott, Gioco e realtà, Armando Editore, Roma 2005.

[4] Tommaso d’Aquino, Commenti a Boezio, a cura di Pasquale Porro, Rusconi, Milano 1997, pp. 373-375.

[Il presente contributo è stato pubblicato col titolo Contemplare giocando in «I Martedì» 337 (2017) 37-39]

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