Osservazioni inattuali sui provvidenziali paradossi della “carità illegale”

All’epoca delle polemiche suscitate dal gesto dell’elemosiniere apostolico, cardinale Konrad Krajewski, responsabile di aver riallacciato la corrente elettrica di un edificio romano occupato abusivamente, non mi soffermai più di tanto sulla teoria dei commenti. Lo considerai un gesto certo eclatante, compiuto da una persona capace di sorvolare sui dettami dell’etichetta e del protocollo ecclesiastico per intervenire a favore di persone in situazione di grave necessità, attraverso un gesto di sorprendente umanità. Un’azione concreta, certo, ma connotata da un innegabile valore simbolico. Si è trattato infatti di un estremo appello a favore dei molti ultimi della Città eterna, reso ancor più efficace da quell’illecita effrazione dei sigilli di un contatore dell’energia elettrica. Dagli inviti a pagare personalmente le bollette alle accuse di favoreggiamento dell’occupazione abusiva, dalle proteste per l’ingerenza di un ministro di uno stato estero agli esposti in procura, le scandalizzate reazioni critiche si sono moltiplicate soprattutto – e non poteva essere altrimenti – negli ambienti e sui media che gravitano attorno all’attuale destra di governo. Nihil sub sole novum… direbbe Qoelet! Non vi prestai più attenzione, consolandomi forse con la rapida, ma gustosa, lettura delle dichiarazioni fatte a favore dell’umile porporato che non era rimasto indifferente all’appello di chi – stando alle sue parole – aveva saputo essere in condizione disperata. Non avrei quindi deciso di mettere per iscritto queste riflessioni, se non fossi incappato in un “pezzo” de Il Giornale dal titolo doppiamente fuorviante: “La carità illegale divide la Chiesa“. Sulla divisione ecclesiale… che dire? Si tratta del solito attacco a papa Francesco, il cui modo di interpretare il ruolo di successore di san Pietro minerebbe la coesione della Chiesa, quando – a mio modesto parere – sono piuttosto coloro che lo accusano in questo modo ad operare contro l’unità del Corpus Christi quod est Ecclesia. Col pretesto di “richiamare” il Pontefice (Prima Sedes a nemine iudicatur!), si cerca infatti di esasperare le inevitabili tensioni intrinseche ad ogni serio tentativo di maturare risposte pastorali all’altezza del Vangelo. papa-francesco-pastorale.jpgCol fine, più o meno esplicito, di trasformare le diffuse fatiche a vivere cattolicamente nell’attuale contesto socio-culturale fortemente secolarizzato in un confuso disorientamento che – così sembrano desiderare i critici del Papa – costituisca l’utile preludio ad un ripiegamento anacronistico ed autoreferenziale, orientato a separare la Chiesa dalla più ampia umanità. Che partiti e sodali mediatici tentino poi di inserirsi in queste dinamiche intra-ecclesiali per il proprio interesse elettorale, non è che un’ennesima replica di un deprimente spettacolo già visto troppe volte nella storia. Ma ciò che mi ha più dato a pensare riguarda la prima parte del titolo, l’ammiccante ossimoro teologico della carità illegale”, seguito dalla presunta ortodossia dottrinale e filosofica con cui un osservatore citato nel corpo del “pezzo” definisce il gesto dell’elemosiniere pontificio come espressione di una “carità irragionevole e qualunquista [che] non è carità”. Mettendo tra parentesi la valutazione dell’operato del cardinal Krajewski e le opinioni di sedicenti bussole “fatte per la verità” (quale non è chiaro… e, se ciò non bastasse, pure “quotidiane”!), non ho potuto non chiedermi: vi può essere un atto di carità illegale o irragionevole? E’ poi vero che se fosse tale, rispetto alle leggi statale e alla ragionevolezza del cosiddetto comune buon senso, non sarebbe carità? Quid est caritas? Si tratta innanzitutto dell’amore con cui Dio ama e con il quale l’uomo in grazia ama Dio, se stesso e il prossimo a motivo di Dio. Come osserva san Tommaso d’Aquino: “l’essenza divina è per sè stessa carità, come è anche sapienza e bontà. […] la carità con cui amiamo il prossimo è una partecipazione della carità divina” (ST II-II, q. 23, a. 2, ad 1m). san-tommaso-daquinoSe parliamo di carità, quindi, essa non può che trovarsi in armonia con la ragione, pur oltrepassandola in se stessa a motivo del fatto che la ratio è anch’essa una partecipazione creata dell’intelletto divino, così come la legge naturale è una partecipazione della Legge eterna. Ciò che è “naturale” è infatti ordinato al “soprannaturale” e non è chiamato in nessun modo a costringerlo nei suoi limiti, ma piuttosto s’invera nel lasciarsi docilmente orientare dal Fine ultimo che – lungi dal distruggerlo – lo porta a pienezza. Ascoltiamo ancora l’Aquinate: “Siccome la grazia non distrugge la natura, ma la perfeziona, la ragione deve servire alla fede, come anche l’inclinazione naturale della volontà asseconda la carità” (ST I, q. 1, a. 8, ad 2m).

La storia dell’umanità è tuttavia ferita dagli effetti del peccato originale, nonché oppressa dal peccato dei singoli e dalle strutture di peccato a livello sociale. Si dà quindi frequentemente il caso che i legislatori promulghino leggi positive, forse corrispondenti all’opinione di molti, ma non per questo meno lontane dalla legge naturale e dalla “norma di tutti gli atti umani” che è la carità. Si pensi alle molteplici e delicate questioni bioetiche o all’attuale recrudescenza nei confronti dei migranti, un vero e proprio core business elettorale delle riemerse compagini politiche xenofobe e nazionalistiche,. Ricorsi storici, quest’ultimi, prodotti – per i processi di una più che puntuale eterogenesi dei fini – dalla disumanità della globalizzazione neoliberale che, con l’appoggio di tante blasonate “sinistre”, ha aggravato il tasso mondiale di diseguaglianza, annichilito la classe media e reso quasi insostenibile il welfare. Il problema della disoccupazione o di un’occupazione che lascia in condizioni di povertà, l’incapacità di gestire l’integrazione culturale ed un certo relativismo etico accompagnato da un sempre più sostenuto individualismo proprio delle società consumiste occidentali hanno permesso che si individuasse nel migrante irregolare, soprattutto se musulmano, il capro espiatorio ideale per raccogliere il consenso di molti, forse tanto estenuati dall’attuale passaggio d’epoca da non pensare ai reali responsabili della propria condizione di fatica. Da America first!Prima gli italiani, si è così creato il fronte ideologico dell’ipseità nazionalistica e – nel desiderio di alcuni – religiosa, a scapito di altri… Così Trump allestisce una sorta di “caccia ai migranti clandestini” condannata dal presidente dei vescovi USA cardinal Daniel DiNardo, mentre alle uscite spesso retoriche – ma non per questo meno nocive TSper la qualità relazionale della società – del ministro Salvini  reagiscono perfino le monache di clausura con un fermo appello ai presidenti Mattarella e Conte. Sono illegali e irragionevoli quei cattolici che, in nome della carità, proteggono i migranti dagli agenti dell’Immigration and Customs Enforcement al servizio del Dipartimento della sicurezza interna degli Stati Uniti? E lo sono quei sacerdoti torinesi che accolgono i migranti intenti ad attraversare il confine con la Francia, attraverso le Alpi? E quelle suore e quei preti che a Washington sono stati arrestati per aver manifestato contro il trattamento riservato dal governo Trump ai migranti, in quanto giudicato contrario agli insegnamenti della Chiesa Cattolica? Non sono un magistrato per cui non esprimo pareri in termini giuridici, ma da teologo sono evidentemente interessato a capire se la circostanza dell’illegalità a fronte delle leggi statali impedisca ad un atto di carità di essere tale. Avendo già posto le premesse perché il lettore tragga da sé la conclusione, non procederò oltre… preferendo piuttosto lasciarmi istruire dalla strategia adottata da GGIUSEPPE_GIROTTI_O.Pesù nei confronti della domanda del Dottore della legge che lo aveva incalzato con la domanda: “E chi è mio prossimo?” (Lc 10,29), vorrei rispondere con un racconto. O meglio, con un accenno alla biografia del beato Giuseppe Girotti O.P., morto martire a Dachau il 1 aprile 1945, dove era stato rinchiuso “per aver aiutato gli ebrei” (cfr. contributo video). Presbitero domenicano, specializzatosi in Sacra Scrittura all’École Biblique fondata da p. J.-M. Lagrange O.P. a Gerusalemme, padre Girotti ha vissuto la propria vita religiosa insegnando ai giovani confratelli e cercando di aiutare personalmente e discretamente gli ultimi che incontrava. Dopo l’armistizio con le forze alleate e la costituzione della Repubblica sociale italiana, la discriminazione razziale nei confronti degli ebrei inaugurata con le leggi del 1938 divenne persecuzione. Il 7° punto del Manifesto di Verona (14 novembre 1943) redatto dagli esponenti del nuovo Partito fascista repubblicano dichiarava i membri della razza ebraica come stranieri e, in condizione di guerra, come nemici. Mentre le truppe nazifasciste imperversavano nel centro e nord della penisola, il 30 novembre dello stesso anno il ministero dell’Interno ordinò alla polizia di arrestare ed internare nei campi di concentramento gli ebrei di qualsiasi nazionalità. Padre Girotti, in queste condizioni, si dedicò segretamente al soccorso degli ebrei, facendone ospitare qualcuno nei locali ad uso dei frati o favorendone l’espatrio pur a costo di grandi rischi. Ricordiamo qui solo una delle azioni evidentemente illegali compiute dal domenicano. Pienamente consapevole del significato del proprio operato, padre Girotti – intorno al 15 settembre 1943 – accompagnò fino ad Arona, sul Lago Maggiore, la nipote del rabbino Deangeli di Roma, allora residente ad Alba, paese natale del frate predicatore. GirottiA motivo di questo ed altri gesti di concreto aiuto nei confronti di coloro che erano stati dichiarati “nemici”, padre Girotti venne arrestato il 29 agosto 1944, a Torino, dalla polizia fascista che gli tese una trappola escogitata propria sulla base della generosità dimentica di sé del religioso domenicano. Seguì il carcere alle “Nuove”, il trasferimento a S. Vittore (Milano), quello al campo di concentramento di Bolzano per poi venire rinchiuso definitivamente nel lager di Dachau – blocco 26 (la baracca destinata agli ecclesiastici). La Chiesa lo ha beneficato il 26 aprile 2014, nella sua Alba, dopo averne riconosciuto il martirio della fede e della carità. La motivazione? Fu paradossalmente scritta nella scheda personale del detenuto, contenuta nel registro del campo tedesco: “Verhaftungsgrund: Unterstützung am Juden” (Ragione dell’arresto: aiuto agli ebrei). Un dato di fatto motivato ancora più a fondo da ciò che dichiarò – lasciando, per una volta, intravvedere il segreto della sua vita interiore – al suo priore, che gli chiedeva ragione dei suoi frequenti ritardi: “Tutto quello che faccio è solo per carità”.

Dovrebbe essere chiaro che il beato Giuseppe Girotti visse “illegalmente” la sua intensa carità, almeno per quelle che erano le pur discutibilissime leggi dell’epoca. Non si tratta certo di paragonare il sovranismo populista contemporaneo al regime nazifascista o di istituire inaccettabili paralleli tra la Shoah e il “primatismo” nostrano, ma è vitale comprendere che in nessun senso si può denigrare gli atti di carità, quand’anche violassero le leggi dello stato od oltrepassassero i limiti di una ragione, di fatto, “separata”, anche quando discetta di un sapere dichiaratamente teologico come la Dottrina sociale della Chiesa. Il cui Compendio afferma chiaramente che “Nessuna legislazione, nessun sistema di regole o di pattuizioni riusciranno a persuadere uomini e popoli a vivere nell’unità, nella fraternità e nella pace, nessuna argomentazione potrà superare l’appello della carità” (n. 207). 07-Buon-Samaritano-Van-Gogh1Un fermo invito dunque che risuona con i tratti delineati da san Giovanni Paolo II, il quale tra l’altro sosteneva con forza: “La carità accesa da Cristo nel mondo è amore senza limiti, universale. La Chiesa testimonia questo amore che supera ogni divisione fra individui, categorie sociali, popoli e nazioni. Reagisce contro i particolarismi nazionali che vorrebbero limitare la carità nelle frontiere di un popolo. Con il suo amore aperto a tutti, la Chiesa mostra che l’uomo è chiamato da Cristo non solo ad evitare ogni ostilità all’interno del proprio popolo, ma a stimare e amare i membri delle altre nazioni e gli stessi popoli come tali” (Udienza generale, 3 giugno 1992). Solo una condotta animata dalla carità nella verità, in definitiva, può prendersi cura di “altri”, continuando a custodire il “proprio”, evitando così di alimentare l’anarchia intrinseca al conflitto sociale e favorendo una rinnovata fraternità. Anche al prezzo di “disobbedire” – responsabilmente ed in modo circostanziato – a qualche legge… un atteggiamento che non dovrebbe certo “dividere la Chiesa”!

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