
Dopo aver assistito alla trasfigurazione di Gesù e aver ricevuto l’ordine di non parlarne a nessuno «se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti», Pietro, Giacomo e Giovanni si chiedevano «che cosa volesse dire risorgere dai morti» (Mc 9, 9-10). Benché la Chiesa celebri il mistero pasquale fin dalla sua fondazione, è necessario continuare ad interrogare il senso della Risurrezione, nella consapevolezza di quanto san Paolo ha chiarito con peculiare incisività: «se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1Cor 15,14). Per poi esprimere, con altrettanta forza, l’articulus stantis aut cadentis del suo annuncio: «ora, invece, Cristo è risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti» (1Cor 15,20). Questa è la fede della Chiesa, ma… che cosa vuol dire «risorgere dai morti»? Per inquadrare il senso di quest’evento quantomai singolare e dell’effetto salvifico che ne deriva, occorre innanzitutto comprendere che non si tratta di una mera rianimazione, ma di una radicale trasformazione che – procedendo dall’umanità assunta dal Verbo – riguarda ogni donna ed ogni uomo che l’accoglie fino a coinvolgere l’ente creato nella sua integralità. «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25): facendosi carne, il Verbo fa sì che la Vita stessa entri nella nostra morte affinché ogni essere umano possa essere rigenerato partecipando della sua vita divina. «Chi crede in me, anche se muore vivrà» dice Gesù, precisando che «chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno» (Gv 11,25b-16). Se infatti in Cristo la morte è vinta, dalla sua stessa morte fluisce fin da ora quella vita per cui veniamo generati come figli (nel Figlio) del Padre.

La risurrezione di Gesù costituisce quindi il fondamento della Chiesa, che trova la sua reale condizione di possibilità nel dono dello Spirito “consegnato”, chinando il capo, sulla croce (cfr. Gv 19,30), proprio dopo aver realizzato il reciproco affidamento tra il discepolo amato e la Madre. Come san Paolo specifica altrove, è proprio lo Spirito Santo che ci unisce al Crocifisso risorto, costituendoci in un solo corpo per mezzo della partecipazione all’unico pane (cfr. 1Cor 10,17; 12,13). Partecipare pienamente alla vita in Cristo nella Chiesa significa allora anticipare la risurrezione nella forma della vita nuova di chi non vive più per il peccato, ma per amare come Gesù ci ha amato, preparandosi alla definitiva risurrezione da morte che avverrà al ritorno del Signore nella gloria alla fine dei tempi. Per l’autore della Lettera agli Efesini, la risurrezione di Cristo è infatti un evento che ci riguarda ben prima della nostra morte. A motivo della sua misericordia, Dio «da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati. Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù» (Ef 2,5-6). Uniti per grazia a Lui nostro Capo, siamo nel medesimo tempo uniti tra noi come membra del suo stesso Corpo. Secondo san Tommaso d’Aquino, la risurrezione che noi viviamo fin da ora consiste nell’essere-con-Cristo in una relazione interpersonale che coinvolge l’intelligenza, la volontà e gli affetti, mentre quanto al corpo siamo risuscitati con Lui solo nella speranza. Anche la risurrezione opera secondo il ritmo del “già e non ancora” che muove tutta la storia della salvezza: procede dalla misericordia divina che rende l’uomo capace di carità e lo chiama ad una comunione eterna col Trinitas Deus e con i fratelli.

La vita di coloro che, morti al peccato, sono risorti con Gesù vengono pertanto chiamati a «crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo. Da lui tutto il corpo, ben compaginato e connesso, con la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, cresce in modo da edificare se stesso nella carità» (Ef 4,15-16). L’evento teologico della risurrezione implica così per l’autore della Lettera degli Efesini la forma di vita ecclesiale, costituta da un tessuto di relazioni interpersonali che si dipanano in senso verticale (tra Cristo e ciascun discepolo) e in senso orizzontale (tra i discepoli stessi). Dal Cristo risorto ed asceso al Padre fluiscono nel suo Corpo che è la Chiesa – come glossa l’Aquinate – «la fede e la carità che connettono e congiungono le membra del corpo mistico per il servizio vicendevole» e, attraverso di essa, la vita divino-umana scorre per rigenerare l’umanità ed il creato nella sua interezza.

Come ha poi precisato Hans Urs von Balthasar, attraverso i sacramenti attingiamo la vita dalla morte in un modo che porta costitutivamente la Chiesa sempre e comunque «oltre se stessa». Come sappiamo che Cristo è morto per tutti e pertanto «non c’è nessun peccatore per il quale egli non sia morto», così occorre essere consapevoli della vocazione universale intrinseca ad ogni personale forma di sequela: «il credente crede per coloro che non credono, si comunica per color che non si comunicano, poiché il corpo che egli riceve ha portato i peccati di tutti» (Vita dalla morte. Meditazioni sul mistero pasquale). Come la risurrezione implica la Chiesa, così comporta anche che questa trasmetta ad altri – attraverso il servizio e la missione – la vita che ha ricevuto in dono. Credere con la Chiesa che Cristo è risorto significa, per concludere, vivere in verità, già da ora, quella carità nei confronti di Dio e del prossimo che costituirà l’ambiente stesso della comunione eterna che ci attende.