Nel redigere gli interventi della rubrica mensile Alla luce della fiaccola non ho mai cercato d’imbastire una continuità tematica, che – per realizzarsi come tale – chiederebbe al pur generoso lettore uno sforzo mnemonico francamente inesigibile. Questa volta, però, verrò consapevolmente meno a quest’intento. La piccola meditazione teologica sul dono dello Spirito Santo che ho sviluppato nell’ultimo intervento, a ben vedere, ci offre il punto di vista più adeguato per riconoscere un tratto fondamentale che anche oggi l’Eucaristia mette a disposizione della Chiesa e, per suo tramite, di ogni donna e di ogni uomo.

Inviato dal Padre, tramite il mistero pasquale del Figlio, lo Spirito Santo costituisce ad un tempo l’anima della Chiesa e il principio della grazia santificante che opera nel cuore della persona. «Se con il dono dello Spirito Santo a Pentecoste», come fa puntualmente notare san Giovanni Paolo II, al n. 5 dell’Enciclica Ecclesia de Eucharistia (2003), «la Chiesa viene alla luce e si incammina per le strade del mondo, un momento decisivo della sua formazione è certamente l’istituzione dell’eucaristia nel Cenacolo. Il suo fondamento e la sua scaturigine è l’intero Triduum paschale, ma questo è come raccolto, anticipato, e “concentrato” per sempre nel dono eucaristico». È lo Spirito Santo, in altri termini, che ci permette di cogliere la singolare relazione tra la Chiesa e l’Eucaristia, secondo quell’espressione resa quasi proverbiale dal teologo gesuita Henri de Lubac: «La Chiesa fa l’Eucaristia e l’Eucaristia fa la Chiesa». Nella solennità del Corpus Domini, infatti, celebrando il dono che Cristo fa di sé a ciascuno di noi affinché possiamo essere assimilati a Lui e divenire così partecipi della natura divina, celebriamo anche il mistero della Chiesa, in quanto – per sua stessa natura – l’uomo è chiamato a vivere in Cristo come persona-in-comunità.

Questo elemento caratteristico e determinante della sequela risulta per noi particolarmente difficile da comprendere fino in fondo. Secoli di cultura più o meno surrettiziamente individualistica, che attualmente si esprime con grande intensità nelle forme che plasmano il nostro mondo (diritto, politica, economia…), ci portano a leggere anche un evento essenzialmente personale e comunitario come l’Eucaristia con le lenti della nostra cultura-ambiente. Il fraintendimento individualistico la riduce inconsapevolmente ad un dono da “consumarsi” nell’intimo di una relazione “privata” con Cristo, vivendo spesso il breve tempo che si estende tra la recezione della particola consacrata e l’orazione letteralmente ripiegati su se stessi come se il Sacramentum caritatis – invece di rinsaldare l’amor amicitiae tra Cristo e chi si comunica, coinvolgendo in questa relazione fondamentale tutti coloro che si sono comunicati – ci assicurasse un possesso esclusivo di Dio. Proprio per evitare questa deriva, solo apparentemente devota, è necessario tornare a quanto san Paolo esprimeva con grande chiarezza e semplicità: «il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1Cor 10,16-17). Queste parole decisive rimandano a quanto l’Apostolo delle genti aggiunge poco dopo: «come infatti il corpo è uno solo e ha molte membra, e tutte le membra del corpo, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche il Cristo. Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un solo Spirito in un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi, e tutti siamo stati dissetati da un solo Spirito» (1Cor 12,12-13).

Mi sembra pertanto che, a partire dall’insegnamento paolino, si debba dire che lo Spirito Santo – attraverso la partecipazione all’unico Corpo di Cristo che è l’Eucaristia – riunisce coloro che si comunicano nell’unico Corpo di Cristo che è la Chiesa. Questa correlazione viene poi ripresa chiaramente nell’epiclesi post-consacratoria della II Preghiera eucaristica che troviamo nel Messale romano: «Ti preghiamo umilmente», dice colui che presiede la celebrazione eucaristica, «per la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo, lo Spirito Santo ci riunisca in un solo corpo». Lo stesso Spirito che consacra il pane e il vino viene invocato anche sull’assemblea radunata per celebrare la Cena del Signore, affinché – attraverso la partecipazione all’Eucaristia – sia riunita nell’unico corpo che è la Chiesa. Non è quindi pensabile di vivere cristianamente senza che questo mistero di comunione converta in radice la nostra vita e senza la consapevole intenzione di togliere ogni ostacolo che ci separa da Cristo e, in Cristo, gli uni dagli altri. Siamo consapevoli di ciò che lo Spirito Santo fa di noi attraverso la comunione eucaristica? E lo desideriamo, nei termini in cui ci viene offerto?

Come ha mostrato in modo eccellente il teologo domenicano Jean-Marie R. Tillard, beneficiando della salvezza offertaci da Cristo, la comunità che celebra l’Eucaristia non solo viene unita attraverso profondi legami fraterni, ma è inviata come «comunità di servizio» a favore di tutti gli uomini. L’Eucaristia facendo la Chiesa, la invia come Gesù stesso è stato inviato dal Padre: per questo la Chiesa è costitutivamente “in uscita”. Ma lo è solo se è Chiesa, ossia se è comunione al Corpo e al Sangue di Cristo per mezzo dello Spirito Santo.