
Dal 22 febbraio il domenicano modenese fr. Paolo Garuti, classe 1955, non è più tra noi a raccontarci con empatia la crudeltà del conflitto israeliano-palestinese osservata a Gerusalemme e soprattutto ad aggiornarci sulle ultime trovate di sconosciuti “scienziati” della Sacra Pagina, ch’egli invece conosceva dall’interno tanto in qualità presbitero dell’Ordine dei predicatori sinceramente appassionato della Sacra Scrittura (vagliata con acribia attraverso i moderni strumenti del metodo storico-critico e della retorica), quanto e ancor più come professore di Esegesi del Nuovo Testamento presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino (Angelicum) e l’École biblique et archéologique française di Gerusalemme.

Le volte che ho incontrato l’erudito confratello ho sempre ricevuto il dono di originali prospettive su diverse pagine della Scrittura, capaci di risvegliare una densità di senso ch’era andata ecclissandosi con la consuetudine dell’ascolto. Il tutto accompagnato da argute battute, tipicamente emiliane, che sulle prime mai mi sarei aspettato dal raffinato intellettuale di fama internazionale, a motivo di puntigliosi studi sulla struttura retorica della Lettera agli Ebrei. La prima volta che lo incontrai, ad esempio, ero un semplice studente universitario e il parroco d’allora – che conosceva bene fra Paolo e lo stimava per l’indubbia competenza nelle scienze bibliche – mi invitò ad un incontro sull’Apocalisse. Dopo la conferenza, centrata sulla difficoltà del testo e sulle meraviglie implicite nella sua struttura, venni presentato al celebre esegeta. Al di là dell’abito domenicano che portava con incurante eleganza, mi sembrava di aver davanti uno di quei dinoccolati intellettuali francesi che studiavo in quel periodo all’Alma Mater Studiorum.Per qualche istante, incontrando quel giovane universitario che ero anche in qualità di suo concittadino, fra Paolo abbandonò l’italiano forbito ed impeccabile, per assumere un accento nostrano e concludere più o meno così: «Sei di Modena anche tu? E studi filosofia all’Università di Bologna?». «Certo Padre, volevo ringraziarla per l’accurata ed originale conferenza sul libro dell’Apocalisse…». «Grazie a te», rispose il celebre biblista al curioso studente d’allora e aggiunse con sorniona benevolenza: «Un modenese filosofo… beh! Una vera e propria contraddizione in termini…». Se ne andò veloce, sorridendo, ma lasciandomi un grande senso di gratitudine per quell’attimo di attenzione, capace d’infondere fiducia, con l’ironia delle persone realmente competenti, le quali – insieme a tanti difetti, com’è per tutti noi – hanno la rara libertà interiore che li porta a non proporsi come modelli.

La stessa ironia la applicava anche ai grandi dell’Ordine: non solo a Marie-Joseph Lagrange O.P., fondatore dell’École, ma persino a san Tommaso d’Aquino, con cui inframmezzava le rigorose analisi filologiche e storico-critiche alla Lettera agli Ebrei, sostenendo che il commento dell’Aquinate a quella Lettera fosse ancora pienamente valido. Ciononostante non si tratteneva molto – e a ragione – dal canzonare bonariamente coloro che volevano far del lascito di san Tommaso l’unica cosa da sapere (e forse pure malamente), ignorando tutto il resto. Autore di studi di alto tenore scientifico come la tesi di dottorato, scritta con un supervisore del calibro di fr. Marie-Emile Boimard O.P. e pubblicata nel 1995 col titolo Alle origini dell’omiletica cristiana. La lettera agli Ebrei – Note di analisi retorica e di decine di studi altamente specialistici, fr. Paolo maneggiava le vaste conoscenze filologiche, storiche e teologiche per chiarire alcuni dei passaggi più ardui del Nuovo Testamento alla luce di una singolare competenza acquisita sia sul versante ellenistico, sia su quello ebraico. Per celebrarne la memoria con la più sincera gratitudine, intendo menzionare solo due scritti “minori” che mi ricordano tanto di fr. Paolo.

Penso in primis ad un breve saggio in cui l’esegeta modenese fa il punto di uno dei passaggi cristologici più celebri della Lettera agli Ebrei: «Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito» (5,7). Che senso attribuire alle lacrime di Gesù? Dopo aver considerato un arco di testi, da Omero e Platone fino alle recenti tesi dottorali, fr. Paolo concludeva che «le lacrime di Gesù non sono né un segno di debolezza, né una forma di solidarietà con l’umano e neppure, in termini culturali antichi, una tappa della kenosis: sono, per Ebrei (e per Luca) un richiamo preciso all’eroe mediterraneo, che affronta la lotta accettandone i rischi (12,2 […] “spezzando l’ignominia”), per raggiungere la gloria (2,9 […] “vediamo Gesù per il patimento della morte coronato di gloria e di onore”), la conoscenza e il τέλος, la perfezione, il fine del cammino: […] conveniva infatti a colui che per il quale e mediante il quale esistono tutte le cose, per condurre molti figli alla gloria, rendere perfetto per mezzo di patimenti il condottiero della loro salvezza» [in Angelicum, 90, 3, (2013), p. 616].

L’altro contributo riguarda il beato Giuseppe Girotti, O.P., già allievo di quell’École Biblique, fondata da fr. Marie-Joseph Lagrange O.P., che ha visto tra i suoi studenti e professori lo stesso fr. Paolo Garuti. Ricostruendo la vita del Beato, martire in odium fidei, morto a Dachau “per aver aiutato gli ebrei” solo a motivo della carità, in uno denso articolo [Revue Biblique, 121 (2014), pp. 427-436], fr. Paolo concludeva riconoscendo che «il padre Girotti non è stato beatificato per il suo carattere, né per la sua esegesi, ma è stato senza dubbio una delle migliori promesse degli studi biblici in Italia». È con la stessa onesta ammirazione che intendo ricordare fr. Paolo Garuti: presbitero domenicano, esegeta rigoroso, elegante predicatore e amico.

grazie per questo toccante, sincero e profondo ricordo di uno studioso e un sacerdote che mi ha onorata della sua fraterna amicizia!
"Mi piace""Mi piace"