Un cammino di conversione (“Nostro Tempo” 14 novembre 2021)

«Io penso, e non vorrei essere troppo entusiasta, che questo sia l’avvenimento ecclesiale più importante, più strategico, dopo il Concilio Vaticano II». Con queste inequivocabili parole monsignor Piero Coda, recentemente nominato segretario generale della Commissione Teologica Internazionale da papa Francesco, ha commentato in un’intervista a Vatican News l’apertura del cammino sinodale celebratasi a Roma il 9 e il 10 ottobre. Si tratta di un ampio percorso di ascolto e di riflessione che, procedendo da un’ampia consultazione del Popolo di Dio, porterà nell’ottobre del 2023 alla celebrazione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi dedicata al tema Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione, per poi confluire nella fase attuativa affidata nuovamente alle Chiese particolari.

Una volta che si sia disinnescato l’equivoco che porta a fraintendere la sinodalità nel senso di un adeguamento della vita ecclesiale al principio di maggioranza che governa le moderne democrazie, per monsignor Coda è necessario comprendere il cammino sinodale alla luce di un’adeguata prospettiva teologica. Poiché l’anima della Chiesa è lo Spirito Santo, il «vero protagonista del Sinodo» non può non essere la stessa Terza Persona della Trinità che opera affinché il Popolo di Dio viva e operi sempre più in conformità  con l’identità ricevuta in dono dal Trinitas Deus da cui ha origine. Uniti alla morte e alla risurrezione di Cristo col Battesimo (cfr. Rm 6,1-14), attraverso la partecipazione all’unico Pane eucaristico, siamo costituiti in un solo Corpo (cfr. 1Cor 10,17): evidenziare la sinodalità della vita e della missione della Chiesa quindi non significa in alcun modo arrendersi alla tentazione di un’autoreferenziale «cosmesi ecclesiale» che giustifichi la comunità cristiana agli occhi del mondo, ma comporta invece un autentico cammino di conversione personale e comunitaria che radichi ancor più il Popolo di Dio nell’esser Corpo di Cristo. Se la Costituzione dogmatica Lumen gentium del Concilio Vaticano II ha offerto le fondamentali coordinate ecclesiologiche, l’attuale percorso sinodale costituisce l’occasione più feconda per poter incarnare storicamente la coscienza ecclesiale conseguita dai Padri conciliari sui tre piani distinti, ma strettamente correlati, dello stile, delle strutture e dei processi/eventi.

Si può tuttavia sostenere la tesi della singolare significatività di quest’avvenimento ecclesiale solo a patto di riconoscere al tempo stesso che la Chiesa ha finalmente maturato la concreta esigenza di disporsi affinché, diversamente dal passato, tutti i battezzati possano partecipare pienamente al proprio sviluppo. «Nella Chiesa per lunghi secoli», continua monsignor Coda, «dalla riforma Gregoriana fino al Concilio Vaticano II, per necessità di crescita storica, di maturazione, anche di missione della Chiesa, in un mondo difficile, è prevalsa una visione piramidale, gerarcocentrica. Questo ha impedito spesso che venissero valorizzate tutte le energie dello Spirito presenti nel Popolo di Dio». Impegnarsi per una Chiesa effettivamente sinodale significa allora accogliere l’insegnamento conciliare della vocazione universale alla santità e declinarlo in ordine alla personale corresponsabilità di tutti per la vita e la missione della Chiesa, nella consapevolezza – ribadisce il teologo torinese, non senza suscitare un certo stupore – che «è la prima volta in duemila anni di storia della Chiesa in cui un evento di questo genere è chiamato a coinvolgere tutto il Popolo di Dio». Il risvolto più evidente di quest’aspirazione ad un coinvolgimento della Chiesa nella sua “cattolicità” (dal greco katà olós: secondo l’intero) consiste, pertanto, nell’impegnarsi ad abbandonare quella mentalità clericale che rovescia il senso stesso del ministero pastorale nel tentativo – condotto in evidente contraddizione con la logica evangelica del servizio – di sottomettere il “tutto” ad una “parte”, per quanto qualificata, del corpo ecclesiale.

Come si esprime esplicitamente il Documento preparatorio sulla scia del magistero di papa Francesco: «La Chiesa tutta è chiamata a fare i conti con il peso di una cultura impregnata di clericalismo, che eredita dalla sua storia, e di forme di esercizio dell’autorità su cui si innestano i diversi tipi di abuso (di potere, economici, di coscienza, sessuali). È impensabile “una sana conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del Popolo di Dio”» (n. 6). Se dal punto di vista dei pastori la sfida consiste certamente nel vincere ogni tentazione di ripiegamento clericale, esercitando il proprio ministero nello spirito della kenosis evangelica, non si deve tuttavia sottovalutare il risvolto che accompagna da secoli questo ripiegamento nello stesso modus vivendi dei fedeli laici. Al clericalismo degli uni corrisponde spesso, almeno nell’occidente cristiano, l’individualismo passivo degli altri che – interpretandosi come meri “consumatori” della fede – resistono ad ogni invito alla corresponsabilità nella vita e nella missione della Chiesa. Si può infatti partecipare alla vita e alla missione della Chiesa se si vive il desiderio di corrispondere personalmente alla grazia battesimale, che nel renderci capaci di ascoltare la Parola, ci abilita ad un tempo all’annuncio. Solo se lo Spirito Santo sarà effettivamente protagonista del cammino sinodale, riusciremo ad avvicinarci a ciò che come Chiesa siamo chiamati ad essere, lasciandoci guarire tanto dalla prepotenza quanto dall’apatia.

Marc Chagall, Exodus (1952-1966) – olio su tela (130×162 cm) – Collezione Privata
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