La nostra Pasqua guardando ad est (“Nostro Tempo” 10 aprile 2022)

Nel celebrare la Domenica delle Palme avvertiamo che la Pasqua di Risurrezione – scaturigine, centro e vertice dell’anno liturgico – è ormai vicina. Eppure, ancor più nell’attuale congiuntura, siamo chiamati a ricalcare passo dopo passo la via crucis originaria con attenzione e partecipazione, con lo sguardo teso al Cristo risorto che ha vinto il peccato e la morte. Nel tempo in cui ritenevamo – estenuati nella produttività e nella psiche – di esserci lasciati alle spalle la stagione pandemica, siamo stati catapultati nella recrudescenza di un conflitto più che decennale provocato dall’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione russa, che prelude ad un riassetto degli equilibri nell’ordine delle relazioni internazionali. Al di là del ritorno del fantasma (forse troppo ottimisticamente rimosso) dell’olocausto nucleare, si sta assistendo ad un temerario incremento delle spese per gli armamenti, mentre si teme la recessione economica e si paventa addirittura il pericolo della carestia nei paesi più poveri. In tal contesto, sembra che la pace non venga adeguatamente ricercata né dagli uni, né dagli altri, lasciando la desolante impressione che la logica di potenza continui a prevalere al di là del teatro delle legittime intenzioni. Se questo non bastasse, viene strumentalizzato perfino il cristianesimo. Se Vladimir Putin ha citato una delle espressioni più commoventi e luminose del Quarto Vangelo per celebrare le motivazioni dei soldati coinvolti nell’«operazione militare speciale» («Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici», Gv 15,13), Joe Biden ha richiamato – nel discorso tenuto a Varsavia il 26 marzo scorso – lo storico «Non abbiate paura!» pronunciato da san Giovanni Paolo II nell’omelia tenuta in occasione della s. Messa per l’inaugurazione del pontificato (22 ottobre 1978) al fine di compattare il fronte Nato contro la Russia.

Come ha opportunamente denunciato papa Francesco nell’Angelus da Malta di domenica 3 aprile, si tratta senz’altro di una «guerra sacrilega» e non solo per la «tragedia umanitaria della martoriata Ucraina, ancora sotto i bombardamenti», ma anche – riteniamo di dover aggiungere – per le motivazioni egemoniche ed ideologiche che traspaiono sempre più dal modo in cui le principali parti in gioco sembrano resistere alla pace. In questo contesto plasmato da una profonda rassegnazione a fronte dell’imporsi della logica del potere, prepararsi alla celebrazione della Pasqua significa innanzitutto vivere la Croce di Gesù ponendosi ai piedi delle croci del nostro tempo, con la preghiera e la concreta solidarietà. Significa poi, al tempo stesso, addentrarsi nella convergenza tra Caifa e Pilato, nel violento clamore della folla, nelle dinamiche dell’abbandono, del rinnegamento e del tradimento consumatesi nei cuori degli stessi discepoli. Rivivere nella liturgia l’ombra della menzogna e della violenza che si abbattono su Gesù, riconoscendoli presenti in nuce anche al fondo del nostro animo, ci permetterà ancora di pregare con la liturgia: Ave Crux, spes unica.

Ma se vi è speranza, ora e sempre, questa procede dal mistero stesso della Risurrezione in cui si manifesta il senso stesso della storia come storia della salvezza, in cui viene realmente anticipata – nella persona stessa di Gesù – la destinazione escatologica che ci attende se rimarremo uniti a Lui. Per lasciarsi introdurre nel mistero del Crocifisso risorto, occorre far nostra la saggezza espressa da un celebre verso dell’inno Patmos scritto da Friedrich Hölderlin: «Dov’è però il pericolo, cresce anche ciò che salva». Se nella nostra percezione il pericolo viene da est, è pur vero che l’autentica spiritualità russa è maestra nel restituire le altezze e le profondità del mistero pasquale.

Si legga quanto ha scritto il teologo ortodosso russo Alexander Schmemann sulla Domenica delle Palme nella quale proclamiamo «la nostra fede nella vittoria finale di Cristo», il «nostro coinvolgimento con il regno di Dio» e «la nostra responsabilità verso di esso». Si assuma lo sguardo di fede con cui possiamo riconoscere che «Cristo, la nostra pasqua, è questo lievito della risurrezione di tutti. Come la sua morte distrugge il principio stesso della morte, la sua risurrezione è il pegno della risurrezione di tutti, perché la sua vita è la fonte di ogni vita». Sviluppando questo tema nel proprio compendio di teologia dogmatica, Vladimir Lossky mette in luce come attraverso la risurrezione di Cristo «una forza di vita s’introduce nel cosmo per risuscitarlo e trasfigurarlo nella distruzione finale della morte. Dopo l’Incarnazione e la Risurrezione, la morte è abbattuta, non è più assoluta. Tutto converge verso la restaurazione integrale di tutto ciò che è distrutto dalla morte, verso l’abbraccio di tutto il cosmo da parte della gloria di Dio che diviene tutto in tutti, senz’escludere da questa pienezza la libertà di ogni persona davanti alla piena coscienza della propria miseria che le comunicherà la luce divina».

Procedendo da questo sguardo di fede che viene da quella stessa Russia che oggi sembra così accecata dalla logica della potenza, potremo trovare ancora una volta in Cristo quella fondamentale cornice di senso per leggere anche i più laceranti segni dei tempi, nella fondata speranza di poter vincere le tentazioni che ci assediano impegnandoci efficacemente per la pace e per la vita. Nei pensieri sulla morte, pubblicati postumi, il teologo domenicano Antonin-Dalmace Sertillanges ha scritto: «Non abbiamo bisogno di vincere il male: è Dio che se ne fa carico; per noi, è sufficiente non esserne vinti». Un compito che risulta quanto mai urgente per noi tutti ed, in particolare, per noi uomini dell’Occidente, sempre tentati – obliando la forza che viene dal Risorto – di vincere il male ancora e sempre col male.

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